Roero Days, la Venaria Reale e sette vini che sfidano il tempo

I Roero Days sono soprattutto una festa, un momento di gioia e di incontri; attimi vissuti con serietà, impegno, tuttavia guidati da una sana spensieratezza che consente di brindare alle fatiche di tutto un anno lavorativo. Giunto alla quinta edizione conclusasi lunedì 23 maggio, anche se sono piuttosto sicuro che se non fosse stato per il maledetto Covid-19 mi troverei a scrivere della settima, l’evento è fortemente voluto dal Consorzio di Tutela del Roero. Lo stesso è stato fondato nel 2014, oggigiorno composto da 246 soci e guidato dal Presidente Francesco Monchiero.

La kermesse ha dato la possibilità ad oltre 70 produttori di svelare, attraverso 400 vini in degustazione, le potenzialità di un areale vitivinicolo che finalmente sta vivendo una stagione felice, un’epoca di riconoscimenti. Quest’ultimi sono da attribuire in gran parte al costante impegno dei produttori che, nel tempo, hanno saputo creare un vero e proprio stile identitario del Roero, lo stesso è fondamentalmente basato sulle peculiarità naturali di un territorio per certi aspetti unico. Le sabbie di origine marina, e tantissime altre caratteristiche pedoclimatiche, caratterizzano queste colline scoscese e a tratti impervie, ne ho parlato in maniera approfondita in questo articolo. Ci troviamo al cospetto di un areale vitivinicolo dove soprattutto arneis e nebbiolo, due vitigni straordinari a mio avviso, hanno la possibilità di tradurre in ottimi vini i frutti di una terra indubbiamente generosa.

La biodiversità, in questo territorio situato sulla sinistra del Fiume Tanaro, qui ancor più che in altre zone piemontesi regna incontrastata: percorrendo su e giù i sentieri di borghi pittoreschi quali Canale, Vezza d’Alba, Monteu Roero – solo per fare qualche esempio – mi ritrovo immerso in un paesaggio dominato ancora da boschi, frutteti, le famose nocciole del Piemonte, le pesche… Non dimentichiamo, inoltre, che il Roero nel tempo ha visto crescere esponenzialmente anche il patrimonio vitato, tanto da essere incluso nella lista dei Paesaggi Culturali Patrimonio Unesco, nel 2014, assieme a Langhe e Monferrato. Torniamo ai Roero Days 2022, ben due giornate intense che hanno visto la presenza di oltre 3000 appassionati di vino che si sono dati appuntamento alla Reggia di Venaria Reale, alle porte del capoluogo piemontese, una dimora storica che non ha certo bisogno di presentazioni.

Personalmente ritengo quest’ultima una tra le cornici storiche più affascinanti dell’intera regione, l’austero Piemonte e la cosiddetta città dell’amore, Torino, la prima capitale d’Italia. Un luogo senza tempo dove la bellezza e la grandiosità sono lì, alla portata di tutti, basta avere la curiosità e soprattutto la voglia di lasciarsi tutto alle spalle – smartphone compreso – allo scopo di ammirare le bellezze architettoniche e respirare un’aria che riporta indietro di secoli e secoli. La suddetta reggia, in dialetto piemontese “ël Castel ëd la Venerìa”, è una storica residenza sabauda facente parte, dal 1997, del sito seriale UNESCO iscritto alla Lista del Patrimonio dell’umanità.

Progettata dall’architetto Amedeo di Castellamonte, fu commissionata dal duca Carlo Emanuele II come base di partenza per le battute di caccia all’interno della splendida brughiera collinare torinese. Fu realizzata in un periodo che va dal 1658 al 1679. Tra i diversi riconoscimenti è da annotare che nel 2018, la Reggia di Venaria, è risultata il settimo sito museale statale più visitato; nel 2019, il giardino della stessa, è stato eletto quale parco più bello d’Italia. Quale miglior cornice, dunque, per ospitare giornalisti, bloggers, fotografi, scrittori, winelovers e grandi appassionati di vino. – È stata un’edizione bellissima, piena di soddisfazioni per tutti i produttori presenti personalmente per fare conoscere il Roero, una delle poche denominazioni in Italia ad avere due grandi espressioni, completamente diverse, il Roero Bianco e il Roero Rosso Docg” – afferma il presidente del Consorzio Tutela Roero Francesco Monchiero. – Un successo da attribuire senz’altro alla location, una meraviglia della nostra Regione che non ha nulla da invidiare alle grandi residenze reali europee, ma soprattutto alla qualità dei nostri vini e allo stato di salute della nostra Docg, che rispetto allo scorso anno ha visto una crescita del +30% quanto a bottiglie certificate – conclude Monchiero.

Ciò che ho potuto constatare personalmente, avendo presenziato anche nella giornata dedicata al pubblico, è stata la gioia delle persone nel ritrovarsi, nello scambiare chiacchiere, pareri, sorrisi, gesti; tutta una serie di elementi importantissimi del nostro quotidiano che in parte avevamo messo in stand by. Inoltre, incontrare dal vivo i produttori e ascoltare i loro aneddoti, le curiosità che rendono magnifico – e allo stesso tempo difficile – uno tra i mestieri più belli del mondo, è materia assai appassionante, da sempre. Nonostante tutto ciò i protagonisti non sono stati solo i banchi d’assaggio, ma anche i seminari e i momenti di approfondimento culturale.
Ben 300 persone hanno preso parte ai laboratori di degustazione guidati da firme piuttosto note del Bel Paese: Dario Cappelloni, Gianni Fabrizio, Fabio Gallo, Giancarlo Gariglio, Vittorio Manganelli e Paolo Zaccaria; impegnati a condurre verticali speciali di Roero e Roero Arneis. La mostra fotografica “Roero”, a cura di Carlo Avataneo, ha immortalato diversi scenari che restituiscono fedelmente la poesia del territorio. Ha riscosso notevole interesse, dunque il tutto esaurito, anche la presentazione del libro “Roero, la civiltà dell’Arneis e del Nebbiolo” di Luciano Bertello e Baldassarre Molino, incontro cui hanno preso parte anche i giornalisti Mario Calabresi e Carlo Grande.

Diversi i riconoscimenti conferiti dal titolo “Pioniere dell’Arneis”, i premi sono stati assegnati agli accademici Anna Schneider, Vincenzo Gerbi e Franco Mannini per il loro impegno e per la ricerca dei cloni più idonei per questa tipologia. Un contributo importante, risultato di continui studi, al fine di garantire il concetto di biodiversità in tutto il territorio e soprattutto nei confronti dei vitigni protagonisti del Roero, gli stessi che si stanno affermando attraverso una crescita costante. Il pranzo servito all’interno nel Rondò Alfieriano, appositamente allestito per l’occasione, ad un tratto ha preso le sembianze del set di Barry Lyndon, celebre capolavoro di Stanley Kubrick, con 250 operatori del settore che hanno apprezzato la cucina dei giovani chef Andrea Ferrucci (Ristorante Marcelin), Andrea Sperone (Ristorante Belvedere Roero), Davide Sproviero e Fabio Poppa (Ristorante Le Scuderie del Castello) e Stefano Paganini (Ristorante Alla Corte degli Alfieri).

I piatti creati per l’occasione sono stati un omaggio ai grandi classici della gastronomia piemontese – gli asparagi, le Nocciole Piemonte IGP, il coniglio, la Robiola DOP di Roccaverano, la carne di Fassona – proposti in chiave contemporanea. Avendo vissuto i primi anni della nascita del Consorzio e di conseguenza dei Roero Days, non posso che essere contento di tutto questo successo; inoltre, con un sorriso velato fra le labbra, ricordo gli anni in cui il territorio, pur essendo affermato, inseguiva chimere piuttosto effimere, come tanti altri del resto in tutta Italia.

Erano gli anni dell’utilizzo esasperato del legno piccolo, del voler assomigliare a tutti i costi a zone vitivinicole che si impongono sui mercati mondiali, sacrificando in parte ciò che madre natura è in grado di donare; insomma anni che sembrano lontanissimi perché oggigiorno il Roero ha trovato un’identità straordinaria a mio avviso. Vini bianchi a base arneis dal profilo affilato, austero e capaci di invecchiare molto bene, nebbioli che al naso rivelano tratti ammalianti, ariosi con tannini levigati eppur presenti; vini dotati di grande bevibilità e succo in grado di sfidare il tempo.
Attraverso l’utilizzo di poche e semplici parole ho già descritto le caratteristiche di gran parte degli assaggi effettuati tra i banchi dei produttori, relativi all’annata 2021 – Docg Roero Arneis – e 2018 di Roero; in quest’ultima denominazione il nebbiolo regna sovrano.

Per leggere l’articolo completo, clicca qui.