Roero, il fascino e l’unicità del nebbiolo della riva sinistra del Tanaro

Un’identità ben distinta dalle vicine Langhe del Barolo e del Barbaresco, un legame antico sia con l’arneis che con il nebbiolo, la presenza di un territorio ricco di sfaccettature e differenti cru.

Quando si parla di Roero, se c’è un errore nel quale è bene non incorrere è quello di un confronto con i cugini che stanno al di là del Tanaro. Sebbene, infatti, da Barbaresco sembri quasi di toccarle queste colline e il comune legame con il nebbiolo induca inevitabilmente a paragoni e parallelismi, queste sono terre che regalano suggestioni e trame che è certamente più corretto considerare separatamente. E d’altronde storia, caratteristiche geologiche dei terreni, vocazione ad una produzione di qualità anche bianchista, sono tutti tratti che portano il Roero a pretendere di avere una posizione tutta sua che non ha bisogno di trovare sponda altrove per emergere.

Sono alcune delle considerazioni emerse anche durante un recente incontro on-line con la stampa organizzato dal Consorzio per la Tutela del Roero. “Noi non siamo esplosi prima perché eravamo i più ricchi dell’albese. Nel Roero c’è sempre stata una grande produzione assorbita dalla città di Torino, non solo perché eravamo vicini, ma perché la qualità era molto apprezzata” ha spiegato il presidente Francesco Monchiero nell’illustrare le peculiarità di una denominazione che oggi ha poco più di 1100 ettari vitati e una produzione annua di circa 7 milioni di bottiglie. Ecco perché la pratica dell’imbottigliamento è partita dopo rispetto agli illustri vicini delle Langhe, “quando abbiamo dovuto guardare a mercati più lontani”. A questo aggiungiamo come la monocoltura non appartenga, tuttora, al Roero, grazie ad una produzione ortofrutticola non più florida come un tempo dal punto di vista quantitativo, ma sempre presente e di qualità, a partire da quella delle famose pesche, ma non solo.

Una storia antica

Se le prime tracce scritte relative all’arneis, famoso vitigno autoctono a bacca bianca tuttora il più vitato della zona, risalgono tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, anche il nebbiolo vanta origini non certo recenti. Nel 1303 Guglielmo Bayamondo come censo per l’usufrutto di terre presenti nel Roero, oltre a una “carrata di vino moscatello” doveva dare ogni anno anche “puro vino nebbiolo”. A metà del ‘700 nei registri di cantina dei conti Roero di Guarene il nebbiolo è citato come vino prodotto nelle versioni “dolce”, “vecchio”, “amabile” e secco e se ne produceva già l’equivalente odierno di circa 35mila bottiglie.

Sabbia, argille e gesso. La centralità dei terreni

I terreni del Roero sono figli di tre differenti eventi, che hanno visto prima la formazione di gesso, circa 6 milioni di anni fa, poi con l’apertura dello stretto di Gibilterra e la copertura del territorio delle acque si è depositata sabbia, infine con l’ultima emersione e i seguenti movimenti tellurici il Tanaro ha cambiato percorso incanalandosi lungo la direttrice Alba-Asti, separando le Langhe dal Roero. Le Rocche, i famosi e caratteristici ripidi rilievi nati proprio dopo l’evento che gli studiosi chiamano “Cattura del Tanaro”, sono l’elemento più caratteristico e affascinante di questo territorio e al tempo stesso una sorta di carta d’identità di questi terreni ricchi di sabbia. Le diverse emersioni dalle acque nel corso di milioni di anni hanno portato una notevole diversità nei terreni: a nord-ovest, lungo la linea delle Rocche, è presente maggiormente la sabbia, nella parte centrale compare invece l’argilla, a ridosso del Tanaro l’argilla si mescola con banchi gessosi. Tutti aspetti che, ovviamente, portano il nebbiolo ad avere connotati differenti e che sono anche all’origine di affinamenti più lunghi se coltivato su argilla, più brevi se trova dimora su terreni sabbiosi.

Una denominazione in costante crescita

L’attuale disciplinare è figlio dell’ultima importante modifica avvenuta nel 2017 che ha introdotto la tipologia Riserva per i vini bianchi e soprattutto 135 MGA, le famose Menzioni Geografiche Aggiunte, che anche qui, come a Barolo e Barbaresco, donano una fotografia più puntuale, se rivendicate e utilizzate, al vino che poi troviamo nel bicchiere. La loro introduzione, peraltro, ha posto come regola nell’individuazione la dimensione minima di almeno 3 ettari vitati nel caso ci sia più di un proprietario e di 5 ettari se ce n’è uno solo.

La denominazione è nata nel 1985, nel 1989 ha accolto al suo interno il vino bianco, nel 2004 ha aggiunto la G alla DOC: sia il Roero bianco che rosso prevedono le versioni Riserva. Osservando i dati della superficie vitata a partire dal 2014 – Il Consorzio è nato un anno prima, dopo la divisione da quello che tutela Barolo, Barbaresco, Alba, Langhe e Dogliani – si osserva una crescita continua sia degli ettari dedicati ai vitigni rossi (oltre al nebbiolo nel Roero è coltivata anche barbera con 601 ettari) che bianchi (oltre all’arneis con 871 ettari anche la favorita con 70). L’export che per i vini di questi territori è voce sempre importante, se non fondamentale, in questo momento assorbe il 60% della produzione.

L’impatto della pandemia e le incertezze per il futuro

“Il 2020 non è stato drammatico sia a marzo che ad aprile come ci si sarebbe aspettato, anche perché nei primi mesi dello scorso anno l’export verso gli USA è andato bene” ha concluso il presidente del Consorzio. “In estate abbiamo assistito ad una bellissima ripresa con consumi aumentati all’interno del territorio. L’impatto più brutto a novembre e dicembre con un Natale praticamente perso a causa della seconda ondata. Alla fine abbiamo chiuso l’anno con una perdita solo del 6,5%”. Ora si guarda al futuro e l’incertezza certo non manca: “La nostra è una denominazione che va molto nella ristorazione e poco in GDO. Ecco perché c’è preoccupazione”.

La Degustazione

Difficile tratteggiare un denominatore comune nei 12 campioni degustati, e probabilmente sarebbe anche un errore tentare di farlo, vuoi per le differenti annate presenti che per le MGA di provenienza. Si è detto, durante il tasting che “il nebbiolo che nasce sulle sabbie del Roero ha profumi che ricordano i frutti di bosco, ciliegie e amarene” mentre al palato “la complessità è suadente, con tannini dolci ed eleganti, più levigati e meno taglienti e aggressivi”. Sono due caratteristiche che in effetti abbiamo riscontrato negli assaggi: certamente la delicata florealità non è probabilmente il timbro principale di questi nebbioli che hanno nel corredo fruttato e speziato la loro nota più evidente, pur con tutte le eccezioni del caso dovute all’imprevedibilità delle annate e alla mano dei singoli produttori. Ma con tannini meno imponenti la longevità continua a essere un tratto distintivo dei vini a base nebbiolo? “Il nostro disciplinare dà un tempo di sosta in legno più breve perché non ce n’è bisogno per addomesticare i tannini. Ma longevità e freschezza sonoben presenti nei nostri vini” ha affermato sempre il presidente del Consorzio. I campioni con più anni sulle spalle che abbiamo assaggiato, ormai vendemmiati 20 anni fa, non sembrano in effetti mostrare al momento segni di stanchezza o terziarizzazione evidente. Anzi. Insomma, per chi ama il nebbiolo, il Roero rappresenta un porto al quale attraccare senza indugio.

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